Vartuhi Demirdjian Pambakian, autorevole e affabilissima rappresentante della comunità armena di Milano, da diversi anni si dedica con passione e precisione allo studio di una tradizione armena molto antica, quella del pizzo, del merletto e del ricamo.
Ritrovamenti archeologici fanno pensare che già in epoca urartea, ovvero agli inizi del primo millennio a.C., la cultura armena avesse già sviluppato una produzione di tessuti molto elaborata, con l´impiego di raffinate decorazioni. Sono state infatti rinvenute statuette ritraenti figure femminili che indossano vestiti orlati con bordature finemente lavorate. Si ipotizza che all´epoca venissero impiegati materiali quali la seta e l´oro filato, stando a quanto gli scavi ci hanno restituito.
Nei secoli successivi si sviluppò la tecnica del pizzo ad ago, che divenne noto come “pizzo armeno”. Il suo aspetto caratteristico è dato da archetti effettuati attraverso un nodo particolare, non più scioglibile, che chiude ciascun archetto. Il filo impiegato poteva essere di cotone, seta o canapa, in certi casi anche d´oro, e il lavoro poggiava su un disegno preparatorio. Generalmente di forma circolare – più rari quelli di forma ovale o quadrata – il pizzo armeno può ricordare sotto molti aspetti quello tipico di Burano. Diffuse sono anche le lavorazioni lineari, usate per bordature della biancheria personale e della casa: queste tradizionalmente facevano anche parte dei copricapo ricamati che le donne armene erano solite indossare in passato e che venivano inseriti nei corredi nuziali.
In pizzo possono venir realizzati anche molti lavori per l´arredo della chiesa, in cui si inseriscono iscrizioni votive ed immagini sacre.
L´arte del pizzo si è diffusa in tutta l´Armenia storica, “ma raggiunge l´apice della sua fantasia creativa nella zona di Van e a Costantinopoli, dove realizzano, con la stessa tecnica, lavori policromi di scultorea plasticità e di incomparabile bellezza”. I lavori possono essere arricchiti da decorazioni a rilievo, con tralci di fiori o frutti, in cui la scelta del colore è molto accurata e raffinata. Rare invece appaiono le raffigurazioni di animali.
Anche nell´Armenia odierna questa tradizione non è stata abbandonata e capita di incontrare, nei mercatini frequentati dai turisti, anziane donne che, per cifre contenute, propongono l´acquisto di pizzi finemente confezionati secondo tecniche trasmesse da generazioni.
“Il ricamo occupa un posto importante nella cultura armena. Non è appannaggio solo delle classi nobili e delle dignità sacerdotali, ma appartiene al gusto e alla tradizione di ogni ceto della popolazione.” Singolare risulta il fatto che gli artigiani di questo settore in passato siano stati sia donne che uomini, in genere monaci.
Se per i corredi popolari venivano usati materiali più poveri, nei corredi nobiliari e religiosi frequente era l´impiego di fili d´oro o d´argento, assieme alle pietre semi-preziose e alle perle. In ambito religioso sono stati ritrovati dei codici miniati con rilegature preziosamente ricamate; a San Lazzaro è conservata un´importante raccolta di paramenti sacri e corredi d´altare, compresi i teli che il sacerdote impiega per reggere il Vangelo o la Croce, durante la Santa Messa.
Nell´isola troviamo anche preziosi ricami appartenuti ai corredi femminili di due illustri famiglie armene, i Kurtian e gli Ispelian. Questi ultimi sono noti anche per aver finanziato la costruzione dell´edificio circolare, climatizzato e realizzato secondo tecniche antincendio, dove sono conservati i manoscritti antichi.
Se fino alla fine del XIX sec. il ricamo si era diffuso, sia pur con stili diversi, in vari centri quali Urfa, Marash, Karin, Aintap, Tiflis, Costantinopoli, Smirne, Brussa, dopo il genocidio quest´arte fu ripresa e mantenuta viva in laboratori gestiti da suore armene che, in Francia come in Italia, accoglievano giovani armene, orfane e profughe. Negli anni ´20 si aprirono anche molti laboratori di ricamo all´interno dei campi profughi e negli orfanotrofi. In tal modo, alle giovani rimaste sole al mondo era offerta l´opportunità di apprendere un mestiere e crearsi una futura fonte di sostentamento. In Italia, tra il 1923 e il 1932 operò l´Orfanotrofio Femminile di Torino, sotto la guida delle suore armene dell´Immacolata Concezione di Costantinopoli, le quali gestivano anche l´Ospizio della Carità: qui ebbero ospitalità quattrocento orfane armene, le quali, oltre ad apprendere l´arte del ricamo, seguivano un più ampio programma educativo, comprendente l´apprendimento della lingua italiana e il recupero di quella armena, che avevano nella maggioranza dei casi dimenticato a seguito delle traumatiche vicende attraversate.