Una delle prime rilevanti espressioni pittoriche armene è offerta dai codici miniati. Lo straordinario patrimonio dell´Isola di San Lazzaro ci consente di ammirare miniature raffinatissime e molto singolari. Poiché caratteristica tipica del manoscritto miniato armeno è – come già detto in precedenza – la presenza del colophon, questo ci consente spesso di conoscere non solo il nome dell´autore del testo, ma anche quello dell´artista che ha realizzato le miniature. Tra i tanti nomi storicamente emersi primeggia quello di Thoros Roslin, che visse e operò nella seconda metà del XIII sec., seguito da Sargis Pitzak, vissuto nella prima metà del XIV sec.
Le miniature armene coprono un arco temporale molto ampio, che va dal IX al XIX sec., ma il XIII secolo è stato definito il “periodo aureo” di quest´arte. Da un´analisi generale,osserviamo una serie di elementi ricorrenti, quali svariati inserti vegetali e zoomorfi, laboriosi arabeschi e lunette molto elaborate. Tra gli animali ricorrono la gru assieme ad un ampio campionario ornitologico e diversi leoni araldici; il mondo vegetale comprende numerosi alberi da frutto, fra cui l´inconfondibile ed irrinunciabile melograno, e fantasiose composizioni floreali. Particolarmente interessanti appaiono i capilettera. Spesso molto enfatizzati, possono in taluni casi estendersi per quasi tutta l´altezza della pagina. Ricorrenti le croci, da cui si dipartono foglie, fiori e intrecci di virgulti. Talune miniature occupano un´intera pagina, in apertura del testo scritto: questo specialmente quando raffigurano gli Evangelisti o eventi sacri quali l´Annunciazione, la Natività, etc. Le figure si mostrano ieratiche, assorte, spesso isolate o separate dal fondo mediante un drappo appeso alle loro spalle.
La tavolozza è molto ricca, con un raffinato gioco di sfumature. Secondo quanto testimoniato dallo scrittore Vrthanes Kertogh, vissuto a cavallo tra il VI e il VII sec., i colori usati erano il risultato di un assortimento di ingredienti naturali combinati assieme, secondo ricette segrete, tramandate da padre in figlio: tra questi ingredienti troviamo la gomma, il vetriolo, latte, uova, arsenico, verderame, calce, camomilla, lapislazzuli. Il tutto mantenuto pressocchè inalterato grazie alle proprietà adesive e disinfettanti del succo d´aglio, che fungeva da diluente.
La maggior parte del più prezioso patrimonio di miniature fu realizzato in Cilicia, tuttavia tale tradizione perdurò oltre il crollo del suo regno, continuando in centri diasporici come Costantinopoli e Nuova Giulfa. In entrambe le sedi la miniatura godette del sostegno dei ceti agiati, soprattutto mercantili, e si sviluppò secondo due indirizzi: uno più legato alla tradizione e uno sensibilmente influenzato da modelli occidentali. Sono stati anche catalogati una settantina di manoscritti miniati realizzati in Italia, in conventi di monaci armeni. Risalgono, ad esempio, al XIII sec. due Evangelari miniati, di cui uno appare più legato alla tradizione, mentre un secondo inserisce elementi nuovi, quali edifici porticati, strutture turrite e merlate, baldacchini di chiaro richiamo locale. La gamma cromatica appare qui piuttosto limitata: i colori base – nero, rosso, giallo e celeste – sono accostati senza le sfumature intermedie caratteristiche delle opere ciliciane.
La tradizione della miniatura ha lasciato un segno profondo nella cultura e nella coscienza armene, e una sorta di legame atavico con essa emerge nelle opere di due pittori armeni noti anche in Italia: Martiros Sarian e Gerardo Orakian.